Siamo nel pieno del calendario delle Fashion Week. Milano è già iniziata e senz’altro, a livello di comunicazione, possiamo scommettere che moltissimi brand vanteranno capsule sostenibili sotto tanti aspetti: etico, ecologico o materico.
L’innovazione dei materiali è infatti tra i temi più urgenti nella richiesta di cambiamento che interessa il sistema moda.
Da qualche stagione a questa parte gli investimenti dei brand nella ricerca sono diventati sempre più importanti, portando alla scoperta di tessuti e materiali tecnologicamente sempre più avanzati. Una delle frontiere più interessanti è quella dei cosiddetti biomateriali (ma nell’intervista che segue vedremo che è un  termine improprio) che ultimamente sono stati proposti anche da brand del lusso come Hermès e Stella McCartney, con la produzione di borse in pelle vegana derivata dai funghi.

I materiali innovativi e la loro fabbricazione saranno tra i protagonisti del corso di Out of Fashion 2021-22 che, nel modulo 2 dedicato alla sostenibilità dei materiali e dei processi, prevede un dettagliato approfondimento sui tessuti del futuro e la loro applicazione nel settore della moda.

Erminia D'ItriaLa lezione sarà tenuta dalla designer Erminia D’Itria, PhD Candidate presso il Dipartimento di Design del Politecnico di Milano e membro del Collettivo di Ricerca “Fashion in Process” del Dipartimento di Design del Politecnico di Milano.

A D’Itria abbiamo chiesto un parere sullo stato della ricerca sui materiali e soprattutto a che punto è la loro concreta applicazione nell’industria della moda.
Sfatiamo subito un equivoco – esordisce la designer  in realtà è improprio parlare di bio-materiali in ambito moda. Biomateriale è un  termine che deriva dall’ambito biomedico e di per sé indica genericamente un tessuto biocompatibile, che cioé può stare a contatto diretto con gli organi interni o esterni, come l’epidermide. Questa definizione, traslata in ambito moda, non è applicabile. In questo contesto è più appropriato riferirci a “materiali bio-based”, una categoria che comprende vari sottogruppi e che  include qualsiasi materiale con una componente biologica. Il cotone, per esempio, è un materiale bio-based, così come lo è la pelle di origine animale, ma anche le pelli alternative, realizzate con gli scarti della frutta o con le colture di batteri”.

I materiali realizzati con funghi, lieviti, alghe rappresentano la frontiera più affascinante della ricerca sui materiali bio-based. A che punto è loro applicazione nella moda?
“Per alcuni è già a uno stato avanzato. Un esempio molto interessante è quello di Stella Mc Cartney, che ha introdotto nei suoi capi i materiali realizzati da Bolt Threads, una ormai “ex” start-up americana che è riuscita ad affermarsi anche grazie ad alcuni prodotti innovativi quali “Microsilk” e “Mylo”.  Mylo in particolare – una simil-pelle ottenuta da un micelio –  ha rappresentato  la novità tecnologica dell’anno, se ne è parlato ovunque ed è stata utilizzata non solo da Stella Mc Cartney, ma anche dal gruppo Kering e da Adidas.  Anche Hermès ha puntato sui funghi, ma affidandosi al produttore –  Mycoworks, concorrente di Bolt Threads.  In generale negli ultimi cinque anni c’è stato un incremento esponenziale nell’uso dei materiali bio-based”.

Nel fashion system stiamo assistendo a partnership e alleanze inedite tra i brand, impensabili fino a qualche anno fa. Come valuti questa tendenza?
“E’ una collaborazione motivata dalla necessità di accelerare i tempi della ricerca e riuscire a sostenerne gli ingenti costi. I grandi brand si trovano a dover rispondere all’esigenza ormai stringente di ridurre il proprio impatto ambientale e sociale. I materiali in generale sono quindi tornati ad essere un vettore di innovazione che si è tradotto in tempi moderni in un vettore di sostenibilità”.

Ma i materiali bio-based, quando sono davvero più sostenibili, costituiscono una reale alternativa alla produzione tradizionale?
“Hanno sicuramente dei vantaggi, tra i quali quello di ridurre la dipendenza dai materiali derivati dal petrolio, che come sappiamo sono tra i principali responsabili della dispersione di microplastiche nelle acque e nelle falde.Tuttavia anche l’uso di materiali bio-based non può essere considerato una panacea di per sé. Non dimentichiamo, per esempio, che anche il materiale più innovativo a base biologica se mescolato con altri materiali a base di petrolio, come accade nella maggior parte dei prodotti per migliorare la performance dei capi, non può più essere separato e riciclato. Anche la biodegradabilità – vantaggio di molti bio-based – è in realtà possibile solo in condizioni ben precise, che devono essere ricreate in infrastrutture apposite. Quindi i bio materiali da soli non sono la risposta, ma hanno un futuro se inseriti in una visione sistemica e infrastrutturale. La sostenibilità ha bisogno di un approccio olistico. Non bastano gli interventi puntuali, fini a se stessi: per avere impatto ci vogliono risposte sistemiche. Se riusciamo a creare i famosi cicli chiusi dell’economia circolare, se riusciamo a capire che quello che è rifiuto per un’industria diventa materia prima per un’altra, se puntiamo su un’agricoltura rigenerativa, se riusciamo ad avere un cambiamento di mindset, non solo del designer ma dell’intera supply chain, allora sì, i materiali bio-based sono un’alternativa valida”.

Che novità possiamo aspettarci dalle Fashion Week? Vedremo qualcosa di interessante?
“Io credo e spero  di sì, perché parlando con gli addetti ai lavori sento avverro che ci stiamo allontanando dal greenwashing nella direzione di pratiche effettive e realizzabili. Sono molto impaziente di vedere l’iniziativa “Designer for the planet” di Camera Nazionale della Moda Italiana, a cui parteciperanno anche Gilberto Calzolari e Tiziano Guardini. Tiziano è un designer che ha usato materiali bio-based con intelligenza, come ha dimostrato in una precedente collezione realizzata con la collaborazione di VEGEA,  azienda italiana ideatrice di una simil-pelle ricavata dagli scarti del settore vinicolo. Anche le tavole rotonde proposte nella scorsa edizione del White hanno avuto il merito di raggiungere il grande pubblico e di trattare con serietà tematiche come quelle dei materiali bio-based, spesso affrontate in modo generico e fumoso.  Spero che questa tendenza sia confermata.  Camera Nazionale ha inserito la sostenibilità come uno dei pillar della propria strategia, speriamo di raccogliere i frutti”.