Nel Veneto 300mila persone sono esposte all’inquinamento da PFAS  presente nei prodotti chimici impermeabilizzanti dell’industria tessile che vengono rilasciati nelle falde acquifere del vicentino, del veronese e del padovano.  In tutte queste aree, la presenza di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) supera la soglia dei 1030 nanogrammi  per litro di acqua potabile stabiliti nel 2014 dall’Istituto Superiore di Sanità. Basti pensare che nel vicentino la media dei rilevamenti Pfas si assesta tra i 200 e i 2 mila nanogrammi, con punte che arrivano anche a quota 12mila. Per comprendere bene il senso di questi numeri: in Germania il limite stabilito è 100 nanogrammi per litro d’acqua, in Svezia 90, negli Usa 70. Il Veneto e in particolare la zona rossa interessata dall’inquinamento di PFAS che registra una forte produzione del tessile e della conceria della pelle, è tra le regioni più esposte ai rischi di inquinamento acquifero. Tra i principali indiziati l’azienda Miteni di Trissino, uno stabilimento in provincia di Vicenza – rilevato nel 2009 dal gruppo giapponese Mitsubishi-  che afferma di non produrre più PFAS dal 2011.
La notizia dell’inquinamento da PFAS è esplosa già nel 2013, ma la Regione non aveva mai adottato decisioni concrete rimpallando la questione con il Ministero della Sanità che, dopo avere stabilito l’altissimo limite di tolleranza dei 1030 nanogrammi, non sembra avere l’intenzione  di adeguarsi in tempi brevi agli standard degli altri Paesi.
Nel frattempo tuttavia la situazione si è rivelata in tutta la sua gravità: da studi commissionati dalla Regione è risultata la presenza di concentrazioni elevate di PFAS 32 volte superiori alla media nel sangue dei quattordicenni della zona del vicentino a più alta contaminazione, oltre a un aumento di patologie della gravidanza ritenute connesse all’azione degli PFAS.
Studi condotti negli Stati Uniti, nelle aree limitrofe agli stabilimenti della DuPont (Virginia, USA) che produceva PFAS, hanno riscontrato un significativo incremento di cancro alla prostata, e cancro agli organi riproduttivi femminili, rispetto gli indici di probabilità riportati per altri Stati americani.
Non è un caso che la Regione Veneto abbia incontrato Robert Billot, avvocato americano esperto di PFAS e vincitore della class action in Virginia e che nei giorni scorsi il governatore Zaia abbia annunciato l’adozione di nuovi limiti di PFAS di 60 nanogrammi per litro in tutta la Regione e di 40 per la Zona Rossa grazie all’adozione di nuovi filtri negli acquedotti interessati dall’inquinamento da sostanze perfluoro-alchiliche.
A questo primo intervento seguiranno investimenti nelle piccole infrastrutture per realizzare nel giro di tre-quattro mesi il miglioramento ulteriore della qualità dell’acqua. La fase più importante  sarà la rivisitazione generale del sistema acquedottistico per portare acqua priva di PFAS nelle aree inquinate. Servono però 80 milioni di euro che non sono stati ancora messi a bilancio e che devono essere sbloccati dal governo.