Una comunità di biologi, scienziati dei materiali, ingegneri e designer impiegano batteri, funghi, alghe, tè fermentato, lieviti e altri microrganismi per la coltivazione in laboratorio di materiali bio-based alternativi alla pelle di origine animale. Erminia D’Itria, designer e ricercatrice nel Dipartimento di Design del Politecnico di Milano, ci racconta le nuove, affascinanti frontiere della bio-couture!
Mentre si fa sempre più pressante l’esigenza per le industrie di operare secondo modelli basati sul concetto di circolarità, il sistema moda, uno dei più impattanti, si sta spostando dalla semplice sintesi e sfruttamento di alcuni elementi finiti, presenti in natura, a investigare come migliorare e massimizzare le proprietà di materiali e fibre ecocompatibili.
È ormai evidente l’impatto ambientale, economico e socioculturale dell’industria della moda. Forze interne ed esterne alla catena del valore stanno spingendo gli attori del tessile e dell’abbigliamento a impegnarsi in pratiche sostenibili, sperimentando prodotti, processi e modelli di business innovativi. Tali modelli devono tenere conto dell’effetto sul Pianeta e sulle persone sin dal principio e sviluppare varie strategie e iniziative trasversali alle diverse fasi della filiera, basate sull’ottimizzazione delle risorse, sulla circolarità e sulle reti collaborative.
Come già riportato da Business of Fashion nel loro editoriale sulla sostenibilità del gennaio 2020, alcune delle sfide più urgenti, nella catena di approvvigionamento, sono situate a monte e sono legate allo sfruttamento delle materie prime e alla gestione dei rifiuti.
In questo contesto, l’integrazione della biologia al design si afferma come una delle possibili soluzioni all’esaurimento delle risorse naturali attraverso la sua capacità di lavorare per alleviare il potenziale dell’impronta chimica dell’industria nelle fasi di approvvigionamento e produzione, agendo sul ridurre ed eliminare parzialmente i rifiuti. Attraverso la sperimentazione e lo sviluppo di tecnologie e processi iper-sostenibili, i materiali possono diventare vettori di circolarità.
Secondo lo State of Fashion 2020, il numero di depositi di brevetti per l’innovazione delle fibre è otto volte superiore a quello dell’anno precedente. Una tale crescita esponenziale dimostra come le aziende stiano cercando esplicitamente di integrare materiali più innovativi caratterizzati da componenti biologiche. Le aziende che lavorano su questi prodotti stanno sviluppando tecnologie per trasformare il modello di filiera verso innovazioni di processo rigenerative, accessibili e abbondanti.
L’affermarsi, in ambito moda, di questo clima positivo alla sperimentazione, ha visto un crescente interesse per la figura del Bioneer – il pioniere biologico.
Nato verso la fine del secolo scorso, questa figura ibrida tra scienziato e designer lavora per implementare dalle innovazioni ecologiche alle biotecnologie. Il termine Bioneer sta quindi a indicare una comunità di biologi, scienziati dei materiali, ingegneri e designer che impiegano batteri, funghi, alghe, tè fermentato, lieviti e altri microrganismi per produrre nuovi materiali.
In ambito moda, l’azione del Bioneer si concentra soprattutto sullo sviluppo di materiali bio-based che sono coltivati in laboratorio. L’idea di coltivare i tessuti è stata introdotta per la prima volta dalla designer tessile Suzanne Lee, prima pioniera nell’ambito dell’industria del tessile sostenibile, già nel 2003. All’epoca, Lee e lo scienziato dei materiali David Hepworth monopolizzarono i loro giardini e bagni per far fermentare i batteri. Da allora, il lavoro della Lee ha guidato una nuova era in quella che lei stessa definisce bio-couture, esplorando modi per creare materiali simili a quelli animali.
Dai primi esperimenti, quasi 20 anni fa, il sistema moda ha iniziato a comprendere il potenziale di adottare soluzioni bio-based investendo nel lavoro dei bioneers. In particolare, consentendo sinergie tra le caratteristiche biologiche e le soluzioni di design, queste tipologie di materiali si sono dimostrati preziosi per aumentare la capitalizzazione dei rifiuti e la conservazione delle risorse.
Esempio di successo dello sviluppo di soluzioni alternative a materiali tradizionali, con un processo produttivo ad alto impatto ispirato ai lavori dei primi bioneer, è l’esperienza portata avanti dall’aziende che investono in ricerca e sviluppo di materiali alternativi alla pelle convenzionale di origine animale.
Pelli alternative prodotte a partire dagli scarti di produzione dal vino, della coltivazione dell’ananas, del fico d’india e ora dai funghi.
L’americana Bolt Thread, azienda biotecnologica che opera tra scienza e design, sta creando la prossima generazione di materiali avanzati a partire da micelio.
Il micelio fa parte del regno dei funghi ed è la rete di fili, chiamati ife, da cui crescono i funghi. Questa è una risorsa rinnovabile che viene oggi coltivata da esperti fungaioli e scienziati in impianti di coltivazione verticale indoor in Europa e negli Stati Uniti.
Il team di Bolt Threads ha sviluppato, partendo da questa materia prima, un processo all’avanguardia per far crescere e trasformare il micelio in un’alternativa alla pelle animale: Mylo.
Mylo è un materiale elastico che preserva, tramite il processo produttivo, le caratteristiche tattili della pelle animale. Questo processo inizia con l’estrazione di cellule di micelio che crescono in una rete fibrosa. Quando il livello di crescita raggiunge lo stadio ottimale, il micelio è tagliato e lavorato secondo delle tecniche molto simile a quelle adoperate nella normale concia. Ciò che attribuisce a questa specifica lavorazione l’attributo sostenibile è il fatto che il micelio, a differenza della pelle animale, non è soggetto a una decomposizione veloce e di conseguenza non richiede l’uso massiccio di quelle sostanze – chimiche e sali – che sono tra le maggiori cause di inquinamento del suolo e delle acque.
Inoltre, anche se a differenza dei suoi competitor, Mylo non è al momento biodegradabile, la sua vocazione sostenibile è conservata nella misura degli input e delle fasi di lavorazione, oltre che del fine vita. L’obiettivo, degli ulteriori studi di ricerca del team di Bolth Thread si sta concentrando proprio su questi aspetti con l’obiettivo specifico di conferire un attributo di circolarità e poter utilizzare le risorse il più a lungo possibile, per poi restituirle, al raggiungimento del fine vita utile, ai sistemi biologici e industriali.
Il problema principale di Mylo, però, non risiede nei limiti attuali dello smaltimento del materiale, ma nel fatto che difficilmente lo vedremo accessibile per tutti i marchi di moda. La start-up, infatti, ha potuto scalare il proprio business, in tempi relativamente rapidi, grazie al supporto di un consorzio con grandi aziende del comparto moda mondiale che si sono assicurate l’accesso esclusivo al materiale futuro (Adidas, Kering, Lululemon e Stella McCartney). E possiamo stare ben certi che se lo terranno stretto per il prossimo.
Questo limite di utilizzo mette in luce forse il più grande problema che le aziende che investono nell’idee e tecnologie dei bioneers stanno incontrando. La scalabilità dei processi produttivi innovativi promossi, spesso da micro, piccole e medie imprese – spina dorsale del settore moda – si scontra spesso con le risorse economiche a disposizione di queste aziende, con le tempistiche stringenti e con le richieste di volumi elevati di un mercato dinamico come quello della moda.
I materiali sviluppati a partire delle intuizioni, studi e ricerche dei bioneers sono certamente dei vettori di sostenibilità per il settore moda e rappresentano la prova, da parte dei giganti del settore, di una volontà di investire verso un percorso meno impattante e più ecologico. Ma proprio come i bioneers coltivano i propri organismi nella ricerca di soluzioni sostenibili ed eco-compatibili, l’industria della moda deve coltivare questi vivai di talenti e riuscire a creare la giusta congiunzione di infrastrutture e investimenti perché questi possano crescere.
Erminia D’Itria Research Fellow, Dipartimento di Design, Politecnico di Milano è tra i docenti del Corso di Alta Formazione della moda sostenibile Out of Fashion.
La sua lezione è all’interno del secondo modulo del corso 2022-23 “LA SOSTENIBILITÀ COME PROCESSO: I MATERIALI, LA CHIMICA E LA PRODUZIONE” in programma il 16-17 dicembre 2022
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