La questione delle mascherine è tra le più dibattute in Italia e nel mondo nell’emergenza Coronavirus. Prima considerate inutili, poi consigliate, ora obbligatorie. In un contesto di informazioni ufficiali contraddittorie sulla loro utilità, ci siamo dovuti soprattutto confrontare con il problema della loro carenza. Le mascherine chirurgiche, i dispositivi di protezione medica più semplici, sono state introvabili per settimane e, quando reperibili, offerte a prezzi esorbitanti. Per una recente ordinanza del presidente del Consiglio, le mascherine chirurgiche non potranno superare il prezzo di 50 centesimi l’una ma sono tutt’ora di difficile reperibilità anche perché molte farmacie non si sono ancora allineate alle nuove direttive.
Le mascherine chirurgiche sono dispositivi usa e getta con un coefficiente di protezione garantita di 4 ore circa. Al momento, si calcola che se ne utilizzino intorno ai 4 milioni al giorno ma dopo il 4 maggio si prevede l’uso quotidiano di circa 20 milioni di mascherine. Come smaltirle?
In questo contesto si è creata da parte di moltissime aziende tessili l’offerta di protezioni realizzate in vari tessuti, spesso naturali e lavabili e quindi riutilizzabili in caso del protrarsi dell’emergenza. Mascherine “fashion”, più allegre di quelle chirurgiche, in fantasie vivaci, realizzate spesso con dettagli sartoriali. Ma sono davvero protettive e soprattutto sono un’alternativa a quelle chirurgiche?

Mascherine

Sul sito del Ministero della Salute l’opuscolo che fa chiarezza sulle tipologia e la destinazione delle mascherine

Le mascherine chirurgiche sono dispositivi di protezione medica, giudicate a norma dalI’Istituto Superiore della Sanità (ISS) per avere superato precisi test antigoccia e antimicrobo previsti dalla norma UNI EN 1463. La loro funzione, a differenza dei più sofisticato modelli FFP2 e FFP3 definiti  facciali filtranti, è quella di proteggere non chi le indossa ma gli altri dal contagio.  Possono essere realizzate con uno o più strati sovrapposti di tessuto-non-tessuto (TNT), sviluppati con varie tecnologie, principalmente: Spunlace, Spunbond o Meltblown. Il materiale più utilizzato è il polipropilene anche se non si esclude la possibilità di utilizzare altri materiali polimerici sia sintetici che naturali. Viste le enormi quantità di mascherine fin da ora in circolazione, si è creato allarme sul loro smaltimento.

Masscherine

le mascherine chirurgiche sono realizzate in tre strati di Tessuto Non Tessuto di polipropilene

Per saperne di più ci siamo rivolti a un esperto come Claudio Tonin, dirigente di ricerca dell’Istituto di Sistemi e Tecnologie Industriali Intelligenti per il Manifatturiero Avanzato della sede di Biella, docente di fibre tessili per il Politecnico di Torino e da sempre parte del corpo docente di Out of Fashion.  “Le mascherine  chirurgiche sono smaltibili se vengono incenerite – risponde Tonin alla nostra domanda -. La soluzione dell’inceneritore, che nessuno in Italia vuole nei dintorni della propria abitazione, è molto più sostenibile della discarica. Si ritiene che tutte le materie plastiche siano dannose perché le loro proprietà non sono conosciute. Il polipropilene, inventato da Giulio Natta nel 1954, funziona bene e costa pochissimo. Le mascherine di polipropilene sono inquinanti se vengono buttate senza criterio, non se vengono raccolte e smaltite in modo corretto. Questo materiale è combustibile, quindi si può incenerire, fondere e riciclare. Il metodo del riciclo è sostenibile ma può essere realizzato solo se il materiale è omogeneo, quindi se accostiamo una mascherina di polipropilene a una di cotone, senza separarle, interrompiamo la catena del  riciclo. Ecco perché il sistema della raccolta differenziata è fondamentale. In sintesi: il problema non è nella plastica ma nell’uso che se ne fa”.

Mascherine

Fonte: Mistero della Salute



Ma non ci sono alternative alle mascherine sintetiche?
Abbiamo posto la domanda al dott. Franco Piunti, presidente di Tessile e Salute, l’associazione biellese per la tutela della salute del consumatore di articoli tessili, calzature ecc. che tra le sue attività, ha sviluppato un sistema di certificazione basata sulla tracciabilità e la trasparenza delle filiere produttive: “Quando si parla di sostenibilità si intende tutto il ciclo della vita del prodotto – precisa Piunti – Bisogna fare un bilancio complessivo della quantità di Co2 che viene emessa in tutta la catena produttiva, dalla coltivazione della fibra alla distribuzione. La sostenibilità si riferisce anche alla durata del prodotto e alla possibilità di poterlo riutilizzare: sono molti i fattori da considerare, anche per un prodotto come le mascherine”.

– Tessile e Salute ha ricevuto richieste da aziende sulla possibilità di realizzare mascherine sostenibili?
“Si certamente ma ancora una volta non ci sono soluzioni facili e da parte delle aziende serve molta disponibilità alla ricerca. Prima dell’emergenza Covid, le mascherine in particolare ma comunque i dispositivi di protezione individuale utilizzati negli ospedali, erano stati concepiti per proteggere il personale da infezioni batteriche e quindi utilizzabili per un limitato numero di ore, in ambienti come le sale operatorie o reparti di malati infettivi o immunodepressi. Ora ci troviamo di fronte a una pandemia virale, le mascherine devono essere utilizzate per tempi più prolungati e quindi, oltre alla capacità filtrante, devono migliorare il comfort. Vista l’enorme richiesta di dispositivi medicali, si pone il problema della loro sostenibilità e dello smaltimento. Bisognerà considerare l’ipotesi di utilizzo di un unico materiale che, nella fase di dismissione, possa esser riciclato per la produzione di altre mascherine o per altri prodotti come già avviene per il polipropilene”.

– State già lavorando in tal senso?
“Per ora stiamo dando informazioni, ragioniamo con le aziende, vagliamo le loro proposte. Stiamo dialogando con il CNR di Biella, il Politecnico di Torino e la ASL per uno scambio di informazioni, con l’obiettivo di indirizzare le aziende verso un percorso di sperimentazioni che, insieme alle indicazioni di carattere tecnico e normativo, possano portare a una certificazione”.

– Possibile trovare la quadra tra tutte queste condizioni?
Ci proviamo ed è un’occasione offerta alla produzione italiana di essere davvero competitiva su un mercato attualmente occupato da prodotti realizzati su scale enormi a prezzi molto bassi. Manterremo la nostra occupazione solo se riusciremo a proporre prodotti innovativi: è una necessità e dobbiamo comunque provarci. L’Italia e l’Europa hanno la possibilità di puntare su una cultura comune, alimentata dalla qualità delle conoscenze prodotte dalle università e dalle esperienze dell’industria tessile. Dobbiamo considerare questi elementi e il metodo dell’interdisciplinarità un vantaggio competitivo”.

– Cosa ne pensa della soluzione delle mascherine realizzate in queste settimane dalle aziende tessili o dai piccoli brand di moda?
“In situazioni di emergenza vanno bene, però bisogna essere consapevoli che non sono dispositivi medici e non attengono alle norme stabilite dall’Istituto Superiore della Sanità. Le indicazioni sono sul sito del Ministero della Salute e sono disponibili a tutti. Se avete dubbi, consiglio sempre di rivolgersi a fonti ufficiali”.

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Lavabili e colorate: le mascherine in tessuto sono ammesse dal DCPM come mascherine di comunità

Tecnicamente quest’ultimo tipo di mascherine sono definite dispositivi di protezione sociale o mascherine di comunità, una soluzione ammessa dal DCPM. Ecco cosa dice al riguardo il Ministero della salute in una pagina dove specifica le norme tecniche di tutte le mascherine in circolazione:Ogni altra mascherina reperibile in commercio, diversa da quelle sopra elencate (il riferimento è a quelle chirurgiche e a quelle FFP2 e FFP3, ndr)  non è un dispositivo medico né un dispositivo di protezione individuale; può essere prodotta ai sensi dell’art. 16, comma 2, del D.L. 18/2020, sotto la responsabilità del produttore che deve comunque garantire la sicurezza del prodotto (a titolo meramente esemplificativo: che i materiali utilizzati non sono noti per causare irritazione o qualsiasi altro effetto nocivo per la salute, non sono altamente infiammabili, ecc.). Per queste mascherine non è prevista alcuna valutazione dellIstituto Superiore di Sanità e dellINAIL. Le mascherine in questione non possono essere utilizzate in ambiente ospedaliero o assistenziale in quanto non hanno i requisiti tecnici dei dispositivi medici e dei dispositivi di protezione individuale. Chi la indossa deve comunque rispettare le norme precauzionali sul distanziamento sociale e le altre introdotte per fronteggiare lemergenza Covid-19.
“La protezione sociale è valida soprattutto dal punto di vista psicologicoè il commento di Tonin – ci mette in condizione di allerta rispettando la distanza di sicurezza e ci impedisce di toccarci la faccia, la bocca e gli occhi. Se sono a fare la spesa e starnutisco, con quella mascherina non lo faccio sullo scaffale. Però bisogna essere consapevoli dei suoi limiti. Segnalo che il Politecnico di Torino ha bocciato 8 su 10 di queste mascherine in commercio.

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Il modello Cov-er di progetto Quid

Tuttavia la maggior parte dei produttori di mascherine di questo tipo – e fra loro molte aziende di moda sostenibile – sono espliciti sul fatto che non si tratta di dispositivi medici e quasi tutti prevedono una tasca sul lato interno che possa contenere un filtro di protezione. Il loro coefficiente di protezione, oltre all’ergonomia del design che deve prevedere una buona aderenza la viso, dipende dalla scelta del tessuto. Un test empirico che ha avuto ampia visibilità nel web è quello dell’accendino o della candela, tenuti a distanza ravvicinata: se soffiamo indossando la mascherina e la fiamma non si spegne, significa che la protezione verso l’esterno è buona.

Un risultato interessante in termini di ricerca e sostenibilità è annunciato in questi giorni da Progetto Quid, il progetto veronese di moda sociale che ha ottenuto la certificazione ISS per un modello di mascherina protettiva riutilizzabile,  di tipo I in deroga, conforme a UNI EN 1463, la norma tecnica relativa alle mascherine chirurgiche. Realizzate in cotone ed elastan, le mascherine COV-ER sono garantite fino a 15 lavaggi.

(Paola Baronio)

 

LINK UTILI
Tipologia di mascherine
http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=4361

Procedure
https://www.iss.it/procedure-per-richiesta-produzione-mascherine

Linee guida per la realizzazione di mascherine
http://www.unitus.it/it/unitus/i-sum/articolo/linee-guida-per-la-realizzazione-di-mascherine

Edana, associazione europea aziende produttrici TNT
https://www.edana.org/how-we-take-action/covid-19