Racconto di Anna Castiglioni
“Manca meno di un’ora all’alba, eppure Reshma ha gli occhi spalancati e fissi. Non riesce a staccare lo sguardo dai suoi figli, Anju, Chitra e Sunil, che dormono beati nonostante decine di mosche ronzino sopra le loro teste. Una flebile luce fa capolino dalle fessure delle pareti e illumina la polvere che regna imperante nell’unica stanza della casa, che è insieme cucina, soggiorno, camera da letto e stanza dei giochi. Reshma si alza dal suo materasso sgualcito, passa a fianco al marito e con il suo sari accarezza i piedi dei bambini. A quest’ora, se non altro, il bagno, esterno e in comune con i vicini, è libero e tale rimarrà per una buona mezz’ora.
Accovacciata sulla turca, Reshma non riesce a non pensare a quanto successo il giorno prima sul posto di lavoro, quando tre ispettori sono arrivati a rompere le righe delle migliaia di sarte come lei chine sulle macchine da cucire, imponendo l’evacuazione dall’edificio. Tempo pochi minuti e nel reparto regnava il caos più totale. Ci sono delle crepe profonde, i locali non sono a norma, l’edificio è a rischio crollo, continuavano a dire a voce alta e autoritaria al suo capo. Non possiamo fermare la produzione di centinaia di migliaia di capi, stiamo facendo doppi turni perché siamo in ritardo con gli ordini, urlava lui disperato come un ragazzino alle prese con la prima delusione d’amore della vita.
È vero, in questi ultimi mesi le commesse sono aumentate, di lavoro ce n’è fin troppo, e per fortuna. Reshma e Sumur, suo marito, fanno turni con orari diversi per riuscire a passare qualche ora con i bambini, ma è soprattutto Sumur a sobbarcarsi i turni più massacranti. Il prezzo da pagare per portare a casa uno stipendio dignitoso, che permetta a tutta la famiglia di avere una razione di cibo quotidiana e un paio di sandali a testa, è alta. Di vestiti ne bastano due a stagione: un paradosso se si pensa che entrambi lavorano nel settore tessile da più di quindici anni. Del resto, a Reshma la nonna, mamma e la vita non hanno insegnato altro: cucire, orlare, rammendare e ancora cucire, fino a che la vista, o la luce, lo permettono. A volte lo sforzo che fanno i suoi occhi per infilare il filo nell’ago le fa pensare di aver bisogno di un buon paio di occhiali da vista. Il che non sarebbe così strano, a 28 anni, visto che molte sue colleghe hanno perso diottrie ben prima dei venti.
E dire che per vedere quelle crepe, le stesse che hanno tanto indignato gli ispettori e fatto sì che gli otto piani del Rana Plaza chiudessero per un’intera giornata, non ci volevano di certo le lenti. Erano sotto gli occhi di tutti, da mesi, e ogni giorno si facevano sempre più grandi, si allungavano come le radici di un albero ad una velocità impressionante. Quando i macchinari del reparto filatura e confezionamento si fermavano per qualche ora a notte, si poteva sentire lo scricchiolio delle mura, sovraccaricate del peso, delle vibrazioni delle macchine e delle migliaia di lavoratori che affollavano i piani dell’edificio.
La preoccupazione che tormentava Reshma da mesi, quel giorno si era trasformata in angoscia. Accovacciata in quel bagno maleodorante e angusto, pensava a come convincere suo marito a non presentarsi in fabbrica, quella mattina. Ma sapeva bene che il suo fervore attivista si sarebbe trasformato presto in un afflato conservatore: i grandi capi della sua fabbrica avevano minacciato di trattenere un mese di stipendio a chi non si fosse presentato al lavoro quel giorno.
Era impensabile un mese intero senza due stipendi, ma forse con uno dei due, proprio il suo da sarta specializzata, si poteva pensare di tirare a campare. In fondo si trattava solo di un mese, e si trattava del proprio diritto a lavorare in un posto sicuro, di non morire sopra una macchina da cucire. Sumur sarebbe stato felice di passare del tempo con i bambini, senza contare che si meritava qualche ora di riposo. Reshma aveva deciso: quel giorno sarebbe andata da sola al lavoro, fiera e felice di quel sacrificio.
Fuori dal bagno l’aria è fresca, il sole, nel frattempo, sta sputando all’orizzonte. Reshma si sistema la lunga chioma corvina e sorride grata per quello che le sembra essere l’inizio di un giorno meraviglioso”.
Quel giorno è il 24 aprile 2013 e Reshma è una delle tante lavoratrici coinvolte nel crollo del Rana Plaza a Dacca, il distretto tessile più importante del Savar. Reshma viene ritrovata quasi illesa sotto le macerie dell’edificio il 10 maggio, 17 giorni dopo il crollo.
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