Milano, via Tortona, terzo piano di Superstudiopiù. Si parla di moda. Ovvio: è partita la settimana delle collezioni maschili. Meno ovvio, o meglio nient’affatto ovvio che a parlarne sia un artista di fama mondiale come Michelangelo Pistoletto che nel SuperOrtoPiù, il grande orto urbano di sua progettazione inaugurato lo scorso aprile, ha lanciato ieri il Manifesto per la sostenibilità e la rinascita della moda. The Fashion Rebirth, appunto. Ci vuole lo spirito visionario di un artista per dare le ali a un movimento che intende portare l’etica nell’estetica della moda. E faccia da cassa di risonanza a una nuova coscienza, che sente la necessità di vivere non solo di bello e di ben fatto ma anche di giusto. Di corretto, di consapevole, come ha rilevato Mario Boselli, presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana intervenuti al dibattito.
Ci vuole la notorietà di un personaggio come il padre dell’Arte Povera per favorire partnership con le Nazioni Unite per la realizzazione di standard di rintracciabilità applicabile a livello mondiale. Ci vuole la forza dell’arte e di un artista per mettere la moda e i suoi attori – che si proclamano professionisti del bello – davanti alla responsabilità – se non agli obblighi – di una produzione trasparente, di una filiera rintracciabile, rispettosa dell’ambiente e delle condizioni di lavoro ma anche del consumatore finale.

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Perché questa è la moda consapevole ed è faticosa da mettere in pratica nell’economia globalizzata che ha rimpinguato i patrimoni delle grandi griffe. Ma è un  percorso possibile, come hanno spiegato Alessia Corsetti di Valentino e  Rossella Ravagli di Gucci, due aziende che hanno accettato la sfida di Greenpeace a seguire politiche di acquisto e produzione a Deforestazione Zero e Scarichi Zero. Un processo che coinvolge creativi e fornitori, che porta alla riformulazione di contratti di lavoro, alla sostituzione di cicli produttivi, alla ricerca di nuovi materiali conformi alle norme di sostenibilità e di riciclo.
Un impegno oneroso anche dal punto di vista economico ma che accresce la reputazione dell’azienda. Che crea cultura e può creare profitto e occupazione,  come hanno testimoniato la stilista Stella Jean – che per le sue creazioni utilizza tessuti realizzati da comunità spesso di donne in Mali, Kenya, Haiti – e Anna Detheridge di Connecting Cultures che lancerà  il primo corso di alta formazione sulla cultura della Moda Consapevole, Etica ed Innovativa. Si chiameràOut of Fashion e coinvolgerà i migliori operatori del settore.
Ma alla fine tutto questo viene recepito dal consumatore? Forse è più facile creare la domanda di un nuovo lusso che sia etico tra consumatori più esigenti ma quanto pesa la consapevolezza sul sistema di produzione di un capo quando questo è offerto prezzi stracciati? E’ questa la grande sfida del movimento della moda consapevole. Promuovere, alimentare la domanda di una moda etica. Magari certificata da un attestato riconoscibile, che sia garante dei processi produttivi. Sarebbe bello che a rappresentarlo potesse essere  il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, con i tre cerchi che costituiscono il simbolo universale della rinascita della società, attraverso la conquista dell’armonia tra il genere umano e la natura.

Paola Baronio