di Paola Baronio

E’ un peccato che i vestiti non possano parlare. Altrimenti gli abiti creati da Angela Dell’Oso per il suo atelier Opificium ci racconterebbero di passioni e saperi tramandati in famiglia tra donne, di una bisnonna emigrata in Gran Bretagna e diventata tessitrice, di figli maschi tornati in Italia e sposati con ragazze abruzzesi, di una madre che trasmette la passione per il cucito alla figlia bambina e di un baule di tessuti arrivato in Italia, a Rapino, in provincia di Chieti, dopo la segnalazione di un lontano parente inglese.

IMG_6478
La storia di Angela Dell’Oso e del suo rapporto con la moda, di quello che è e di quello che sogna, è racchiusa in queste pezze di tessuto in canapa, larghe 50 cm e lunghe 5 metri. La bisnonna probabilmente le tesseva al telaio per realizzare lenzuola che venivano cucite in verticale. Eva, la mamma di Angela, dopo averle recuperate nel corso di un viaggio in Inghilterra, le  ha offerte alla figlia come materiale per la sua tesi di laurea. In questa storia di abiti, passioni e saperi tramandati però intervengono anche gli uomini di famiglia, in particolare lo zio falegname Tonino, coinvolto nella selezione di noci e galla da utilizzare per la mordenzatura, un trattamento applicato alla tintura naturale del tessuto che Angela ha voluto per i capi della collezione della sua tesi.

tracciabilità
La tesi di Angela si chiama Opificium ed è stata presentata all’Accademia di Belle Arti di Roma, a conclusione del corso biennale specialistico di Culture e Tecnologie della Moda. Con Opificium Angela ha dato vita a una collezione di cinque capi composti da parti modulabili tra loro, così da poter permettere una variazione nel tempo. Sono capi unici, rifiniti a mano da Angela stessa che fin da bambina ha frequentato a Rapino corsi di cucito.

IMG_0927Ma, al di là del risultato estetico della collezione – dotata di una bellezza imperfetta, autentica che esalta le differenze, i difetti, il passaggio del tempo, gli eventi accidentali – Opificium rappresenta la codificazione di un metodo che ha portato alla realizzazione di una filiera rigorosamente glocal, selezionata con l’intenzione di esaltare i valori di condivisione, equità, solidarietà, recupero di materiali, ecostenibilità e valorizzazione del territorio che sono intrinsechi alla moda etica.
IMG_0449Entrando nel dettaglio, i tessuti (oltre a quelli della bisnonna) sono stati integrati dalla Cooperativa Voloentieri di Casoli, un laboratorio di tessitura dove lavorano anche persone con disabilità, le tinture naturali sono state applicate dall’Associazione LeQuattromani di Teramo, i bottoni e accessori sono stati realizzati dalla Bottega delle Arti di Rapino recuperando la tradizione dell’artigianato della ceramica, mentre per la sartoria è stata coivolta Ar.te.ro.ma Onlus (Antica Sartoria Solidale di Roma).
C’è voluto un grande lavoro di tessitura – nel senso più ampio e bello del termine – per portare a termine il progetto. Angela in Opificium ha messo tutta se stessa: la sua passione per la moda coltivata con un percorso scolastico e formativo mirato, il suo senso estetico, la sua integrità, il senso di appartenenza al suo territorio, i profondi legami con la sua famiglia.
Peccato che gli abiti di Opificium non possano parlare. Ci racconterebbero come è bella la moda consapevole.