di Paola Baronio

OK_IMG_5017Patrizia Murro è una donna ironica, che ama scherzare. Sugli altri, ma soprattutto su di sé. Il suo viso è spesso aperto al sorriso. Forse perché ha sempre a che fare con i giovani studenti, molto più probabilmente per indole e visione della vita. Patrizia infatti è docente di Disegno e Storia della Moda all’Istituto Tecnico Romolo Zerboni di Torino. Di ruolo, però in esubero. Paradossi della burocrazia della scuola italiana. Per Patrizia però questo significa l’attivazione ogni anno di un progetto che deve essere approvato dall’istituto. Se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno, potremmo definirla una bella maniera per tenersi aggiornata… Per lavoro e per curiosità personale e intellettuale lei è quindi in costante contatto con le molteplici realtà che ruotano intorno alla sua scuola, al quartiere, agli studenti.
Quest’anno per esempio realizzerà una collezione capsule in lino sostenibile. Il mood è quello della multietnicità, un tema che gli studenti dell’istituto dovranno interpretare secondo il gusto e le tendenze della generazione di teenager alla quale appartengono. Il lino sarà offerto da Ornella Bignami di Elementi Moda. Un nome che i partecipanti ai corsi di out of fashion conoscono bene.
Bello anche il progetto dello scorso anno: si chiamava Prêt-à-Papier e si è sviluppato intorno a una collezione di abiti di carta indossati dalle modelle che hanno consegnato i premi agli artisti del Festival Cinemambiente di Torino.
La carta è un materiale che ricorre spesso nel racconto della creatività di Patrizia che utilizza pagine e fogli di giornali intrecciati per realizzare accessori di moda quali borse e gioielli. Una tecnica applicata a modelli classici, dalle shopping alle clutcth con risultati estetici molto piacevoli. Ma non si tratta di una semplice attività di riciclo. La scelta delle testate è rigorosa: il quotidiano la Stampa di Torino e la rivista Elle.

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Il gusto per l’ironia di Patrizia interviene quindi nella denominazione delle collezioni: “Daily Garbage” quella ricavata dal quotidiano della sua città e l’irresistibile  “Elle fu”, per il magazine di moda che colleziona da sempre. Di carta anche le leggerissime collane rifinite con vernice. Oggetti che oltre alla creatività e all’inventiva, testimoniano il suo rapporto con la moda. Un legame inscindibile, a tratti anche sofferto: “la moda è una malattia”, enuncia Patrizia prima di raccontarci la sua storia. Lei usa ago e filo fin da piccola, lavorando e modificando da sempre i capi per farli diventare qualcos’altro. La scelta dell’indirizzo di Moda e Costume all’Istituto Statale d’Arte a Torino è venuta da sè. Meno previsto l’amor fou per la pittura, scattato all’Accademia di Belle Arti. Una passione totalizzante che l’ha tenuta distante dalla moda per circa cinque anni: “Ho avuto una sorta di rigetto verso ogni forma di abbigliamento. Non lo vedevo compatibile con la forma d’arte che stavo esplorando”. Terminata l’accademia, l’impiego per un anno presso un’agenzia di grafica dove si è occupata di comunicazione e pubblicità.
Intorno agli anni 2000 la collaborazione biennale con Sabelt per la realizzazione di una collezione di scarpe fashion derivate dalle calzature utilizzate dai piloti sportivi. Il contatto con lo stilista francese che sovrintendeva al progetto e con le aziende manifatturiere nelle Marche la riavvicina alla moda.
Ha seguito quindi workshop con Pietra Pistoletto, approfondendo l’esperienza del customizing: attraverso questa esperienza arte e moda hanno cominciato a dialogare.  “Ho ripreso a cucire, a curare di più il mio abbigliamento, a creare vestiti per me”. Patrizia ama utilizzare per i suoi abiti linee che si rifanno alla storia del costume, come i drappeggi del peplo, magari applicati a tessuti particolari, come il tartan scozzese.

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Chissà quali saranno a questo punto i cartamodelli che consegnerà alle donne di un villaggio africano dove vorrebbe realizzare il suo prossimo sogno. Grazie ai contatti con una cooperativa frequentata per la sua attività di docente, Patrizia coltiva infatti il progetto di una sartoria in Costa d’Avorio dove utilizzare tessuti autoctoni realizzati al telaio e con la tecnica batik di cui si sta perdendo la produzione e quindi la tradizione.
I corsi di out of fashion, il confronto con altri partecipanti che stanno iniziando attività nelle quali esprimere se stessi e i loro valori, oltre a una visione sostenibile della moda le stanno infondendo una nuova energia: “Vorrei impegnarmi davvero in questo progetto. Non posso permettermi di fare salti nel vuoto. Ma di lanciare il cuore oltre l’ostacolo, questa volta, sì”.
Va dove ti porta il cuore, Patrizia.