In un periodo storico dominato dal dibattito sulla sostenibilità per le azioni di gruppi ambientalisti ai danni di numerose opere d’arte, l’arte si conferma una potente forma di attivismo per portare consapevolezza sulla moda sostenibile. Come? Ce lo racconta Maria Carmela Guarino di Trama Plaza*
Il 26 maggio scorso come collettivo Trama Plaza abbiamo portato in scena al teatro La Creta di Milano la seconda autoproduzione di Giralamoda. Si tratta di uno spettacolo multidisciplinare composto da 21 performance artistiche che raccontano l’industria tessile e dell’abbigliamento.
Giralamoda è la concretizzazione della mission del collettivo: sensibilizzare il pubblico sulle tematiche di sostenibilità connesse alla moda e all’industria tessile attraverso l’arte. L’arte quindi diventa un vero strumento di attivismo per cercare di incidere sulle storture di un sistema moda sempre più impattante a livello sociale e ambientale.
Ma… a cosa serve l’arte? Ce lo saremo domandati di fronte al tentativo di imparare a memoria i nomi di tutti gli elementi architettonici di un tempio greco ai tempi della scuola, ce lo chiediamo davanti ad un’opera che ci lascia un po’ interdetti e se lo domandano anche gli esperti spesso per aprire un spiraglio in un mondo dell’arte che può apparire quanto mai autoreferenziale. È una classica domanda da un milione di dollari ma la riflessione in merito al ruolo dell’arte in un periodo storico dominato dal dibattito sulla sostenibilità è reso attualissimo dalle azioni di gruppi ambientalisti come Just Stop Oil o Ultima generazione ai danni di numerose opere d’arte.
L’arte come bersaglio delle attenzioni di gruppi ambientalisti non è una novità ma, mentre in precedenza era stata colpita in quanto elemento del problema – magari per il proprio impatto sull’ambiente o per il coinvolgimento di aziende controverse nel sistema di sponsorizzazione e mecenatismo – oggi l’arte e il nostro pianeta vengono posti sui due piatti della bilancia della sostenibilità.
Lo scopo degli attivisti è farci riflettere sul fatto che probabilmente ci stiamo indignando di più per i potenziali danni subiti da un prezioso quadro di Constable che per il fatto che in breve tempo i paesaggi ispiratori di quel capolavoro potrebbero non esistere più a causa delle nostre azioni o, nel migliore dei casi, della nostra inattività.
Il dibattito si è orientato verso la condanna degli atti di vandalismo verso un’arte ammantata di sacralità che la pone al di sopra di ogni altra cosa senza per esempio porre attenzione alla scelta delle opere prese di mira. “Art for art’s sake/L’arte per l’arte” è il principio secondo cui l’arte è fine a sé stessa e non ha altro scopo che la bellezza (e per estensione nessun altro fine che essere ammirata – e protetta – all’interno di un museo). È la prospettiva dell’Estetismo e quella che sembra condividere maggiormente l’opinione pubblica.
È vero, se perdiamo l’arte perdiamo noi stessi. Tuttavia relegarla al ruolo di vittima nella battaglia per salvare il pianeta è forse riduttivo e fuorviante. L’arte utilizzata come bersaglio e “vittimizzata”: è solo questo il valore che può avere nel dibattito sulla sostenibilità? La risposta che vogliamo darci è, ovviamente, no. Molti artisti propongono una prospettiva contrapposta a quella dell’Arte per l’arte, che viene sintetizzata efficacemente da Jerry Saltz nel suo libro “Come diventare un artista”: l’arte è azione. “Per gran parte della sua storia, però, l’arte è stata attiva: qualcosa che agiva su di noi e per noi, che faceva succedere le cose”. E le cose a cui si riferisce Saltz succedevano fuori dai musei.
Ci sembra quindi legittimo chiederci cosa può fare l’arte per la sostenibilità? E nello specifico, quali leve ci permette di attivare per sensibilizzare il pubblico su un tema come quello della moda sostenibile?
Sensibilizzare
L’arte parla ai sentimenti. Questo permette di coinvolgere gli spettatori prima da un punto di vista emotivo e successivamente educativo per indurli a riflettere sui temi presentati dall’opera. Questo, ad esempio, è l’obiettivo di Giralamoda dove l’attenzione è catalizzata da musica, danza e dalle performance degli attori e lo spettatore si trova nella situazione ideale per processare – anche a livello emotivo e quindi più profondo – le informazioni che lo spettacolo trasmette.
Coinvolgere le comunità
Progetti artistici partecipativi o rivolti alle proprie comunità di riferimento sono uno strumento potente per coinvolgere le comunità e motivare le persone a lavorare verso un obiettivo comune. Pensiamo a “Legarsi alla montagna” di Maria Lai (1987), un evento al quale partecipò la comunità di Ulassai, in Sardegna. Tutte le case vennero legate tra loro e poi al Monte Gedili tramite 27 km di nastro di tessuto azzurro, segnalando tramite nodi i legami esistenti tra gli abitanti. “I nastri sono il simbolo dell’arte, sono leggeri, effimeri, sono appena di un colore, non servono a nulla” dice Maria Lai, ma utilizzando le parole dello storico dell’arte Filiberto Menna sono riusciti a connettere la comunità “aiutandola a liberarsi della parte distruttiva di sé e ad aprirsi con disponibilità nuova al colloquio e alla solidarietà”. Anche Denise Bonapace in questo Magazine approfondisce bene il tema dei tessuti e le pratiche curative.
Ispirare e guidare l’innovazione
L’arte è in grado di farci vedere qualcosa da una prospettiva nuova aiutandoci a pensare in modo diverso al mondo che ci circonda. Anche questioni complesse, come il raggiungimento della sostenibilità, possono beneficiare delle idee scaturite dal processo creativo di un’opera d’arte. “Una delle cose che l’arte può fare, e non è l’unica cosa, è che può dare una sorta di “narrazione fisica” di qualcosa che si conosce solo in teoria. Penso che abbiamo una migliore capacità di tradurre la nostra indagine critica in azione una volta che abbiamo una relazione fisica con il mondo” dice Olafur Eliasson, artista danese che ha fondato anche Little Sun, un’organizzazione che promuove l’accesso all’energia sostenibile nelle comunità rurali che non dispongono di elettricità. Attraverso le sue opere, Eliasson esplora temi come la percezione, la luce, il movimento per riflettere sul rapporto tra l’individuo, la natura e l’ambiente circostante. Nell’ambito del progetto di arte pubblica “Deep time: Commission for the Lake District Coast” inaugurato questa estate in Inghilterra, Eliasson ha ideato “Your daylight destination”: una complessa scultura – in realtà un dispositivo ottico – che attraverso un’anamorfosi prospettica permetterà ai visitatori di percepire cielo, terra e acqua in modo diverso nel corso della giornata con l’obiettivo di creare uno spazio di riflessione sull’impatto dell’ambiente naturale sulle nostre vite.
Rappresentare il futuro
Siamo abituati ad una comunicazione sulla sostenibilità che ci mette in allarme e ci mostra i rischi che corriamo se non decidiamo di cambiare rotta, ma l’arte può aiutarci a immaginare un futuro migliore regolato dalla sostenibilità e a motivarci perché questo avvenga. L’artista canadese Ava Roth ci mostra ad esempio la bellezza che può essere generata dalla collaborazione tra l’uomo e la natura, in questo caso le api. Nella sua serie “A nido d’ape”, ad esempio, Roth avvia il processo creativo introducendo nelle arnie telai da ricamo sui quali ha precedentemente applicato tessuti e ricami e lascia che siano le api a completarlo con le perfette geometrie dei favi.
Dunque, il tema dell’arte come leva di cambiamento non è un terreno inesplorato.
Alla fine degli anni ’90 è stata utilizzata per la prima volta la parola “artivismo”, un neologismo per indicare una nuova forma di arte politica, l’arte che diventa “uno strumento per portare soluzioni inedite a problemi drammatici” (da Artivismo. Arte, politica e impegno di Vincenzo Trione, Einaudi) che ha tra i sui precursori persino Guernica (1937) di Pablo Picasso con la sua denuncia degli orrori della guerra. Riscoprendo questa funzione dell’arte, siamo quindi legittimati e incoraggiati a tirarla giù dal piedistallo su cui l’abbiamo messa e a vederla come uno strumento molto concreto a supporto della sostenibilità per aumentare la consapevolezza sulle questioni ambientali e sociali, come il cambiamento climatico, l’inquinamento e la disuguaglianza sociale, problematiche che interessando l’attuale sistema moda molto da vicino.
La foto di apertura è stata scattata durante il primo spettacolo Giralamoda ed è di Emanuele Biagio Cucca. Il costume di scena, Lumaca, è di Cora Bellotto.
Fondata a Milano nel 2020 da Erica Brunetti (presidente e project manager in ambito culturale) e Marta Griso (vicepresidente e product manager in Mantero Seta), Trama Plaza è un’associazione no profit che promuove la sensibilizzazione ai temi della sostenibilità nell’industria tessile attraverso l’arte, l’educazione e la formazione.
Il nome è in memoria del crollo del Rana Plaza in Bangladesh, fabbrica tessile che produceva abbigliamento per grandi marchi della moda occidentale. Nell’incidente morirono 1.134 persone. La Trama è metafora della ricostruzione del tessuto, quel tessuto sociale composto dalla storia di ogni singola persona.
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