Intervista di Chiara Lattuada
Chi l’avrebbe detto che la storia della moda potesse aiutare a svelare un mistero come la natura della Gioconda, uno degli enigmi più appassionanti della storia dell’arte?
Qualche mese fa lo special televisivo della BBC “The Secrets of Monna Lisa” condotto da Andrew Graham Dixon e trasmesso in prima assoluta il 9 dicembre ha rivelato al mondo l’esistenza di una seconda Monna Lisa nascosta sotto la superficie di quella del Louvre. A scoprirla è stato l’ingegnere francese Pascal Cotte, grazie alle ricerche decennali condotte attraverso la analisi multispettrale della superficie pittorica (LAM Layer Amplification Method), con uno strumento di sua invenzione: una speciale telecamera che permette di ricostruire “strato per strato” tutte le tracce che Leonardo ha lasciato dentro gli strati pittorici.
Nella sua ricerca, Cotte ha chiesto la collaborazione di Elisabetta Gnignera, specialista di Storia delle acconciature e del costume rinascimentale italiano e docente della masterclass Moda come Cultura e Immaginazione: il Color Loci in programma l’11 e 12 marzo 2016. Elisabetta ha analizzato decine di immagini attraverso lo studio dell’abito e delle acconciature, arrivando alla conclusione che la figura femminile ritratta, una donna fiorentina dei primissimi anni del ‘500, potrebbe essere la vera Monna Lisa ritratta da Leonardo da Vinci. Di conseguenza alla collaborazione con Cotte, la Gnignera è stata coinvolta nello Special della BBC dove, durante il suo intervento, la studiosa di costume ha presentato al pubblico la sua ricostruzione degli abiti della ‘giovane’ Monna Lisa interpretata dall’attrice italiana Eleonora Siro.
Ecco la sua intervista riguardo l’esperienza con Monna Lisa e il ruolo della storia del costume nella moda contemporanea.
Come è nata la tua collaborazione con Pascal Cotte?
Pascal Cotte mi ha contattata nel 2012, poche settimane dopo la messa in onda del documentario del National Geographic “Mystery of a masterpiece. “L’enigme della Belle Princesse”, a cui entrambi avevamo partecipato, per chiedermi se poteva inviarmi alcune immagini LAM del dipinto che stava studiando all’epoca: la Dama con l’ermellino di Leonardo. Da li è cominciato un sodalizio di 4 anni, durante i quali abbiamo lavorato prima sulla Dama con l’ermellino poi sulla Gioconda, analizzando insieme diverse delle migliaia di immagini ottenute grazie alla camera multi spettrale di sua invenzione.
Cosa ha scoperto Pascal Cotte sulla Gioconda?
Cotte ha scoperto l’esistenza di almeno altre 3 stesure differenti della Monna Lisa, antecedenti la versione del Louvre. Un abbozzo di testa di dimensioni maggiori e collocata in posizione diversa rispetto a quella della Gioconda; un’altra figura accennata contraddistinta da un’acconciatura elaborata con tanti spilloni compatibile a mio avviso, con rappresentazioni sacrali; infine una terza figura femminile incredibilmente completa e coerente, che presenta dei lineamenti e una posa simili a quelli della Gioconda che noi vediamo, ma con degli abiti e un’acconciatura molto diverse. Una scoperta importantissima, che Pascal Cotte ha ricostruito graficamente e io ho riportato per così dire alla vita grazie alla mise en scène realizzata durante lo special della BBC.
Perché è importante questa scoperta?
E’ importante perché dai dettagli dell’abito e della capigliatura si capisce che si tratta di una silhouette assolutamente fiorentina dei primissimi anni del ‘500. E’ incredibile come ogni dettaglio riconduca chiaramente a una donna di questa città, di questo preciso quinquennio. Noi sappiamo da una nota manoscritta dell’Ufficiale di cancelleria fiorentino Agostino Vespucci, che nel 1503 Leonardo aveva già finito di dipingere la testa di un ritratto di “Lisa del Giocondo”. Unendo questi elementi possiamo affermare verosimilmente che quello che vediamo nella ricostruzione di Pascal Cotte sia il ritratto di Lisa Gherardini, moglie del mercante di sete Francesco del Giocondo.
Quali elementi ti fanno dire che la donna ritratta è una donna fiorentina di inizio ‘500?
L’acconciatura, è chiaramente di stampo fiorentino: il velo che vediamo sulla testa della Gioconda è infatti l’evoluzione della berretta fiorentina, che però acquista un’aderenza maggiore rispetto agli esempi del secolo precedente. Inoltre i capelli presentano un leggero movimento à torchon, cioè sono leggermente ritorti. Questo, che potrebbe sembrare un semplice dettaglio, in realtà ha radici profondissime: deriva dal torque – tortiglione di chiome attorte sul capo– elemento di matrice orientale passato poi alla tradizione etrusco-romana,il quale denota in questo caso che siamo in Toscana (o Italia centrale), e non, ad esempio, in Lombardia. Abbiamo dunque diversi elementi, di cui parlerò diffusamente in uno studio vestimentario completo sulla Gioconda che sarà pubblicato a breve.
Se la silhouette ricostruita da Cotte è la Lisa Gherardini, la Gioconda del Louvre allora chi rappresenta?
Non escludo che La Gioconda che noi conosciamo, possa avere preso ispirazione da una donna in carne ed ossa, ma ha troppi dettagli di carattere idealizzato per essere identificata in una figura reale. Innanzitutto ha i capelli sciolti, che all’epoca erano consentiti solo a donne di altissimo rango ed in occasioni eccezionali come cerimonie sponsali o battesimi, mentre, a livello iconografico, i capelli sciolti erano riservati a ninfe o figure mitologiche o sacrali. La capigliatura sciolta è un attributo simbolico, che evoca figure idealizzate come Venere o virtù quali Castità e Pudicizia. Anche la camicia indossata dalla Gioconda, da alcuni considerata erroneamente come un guarnello puerperale (camicia utilizzata dalla puerpere durante le visite), è in realtà un indumento che poteva essere di moda in quegli anni: un’ampia camicia fittamente increspata e riccamente decorata, descritta negli inventari come ‘camise alla moresca’ o ‘alla napolitana’, ma inverosimile perché precoce in questi anni, appare la variante di colore che sceglie di usare Leonardo: un colore molto scuro – quasi luttuoso – con decorazioni in ocra dorato. C’è infine un altro dettaglio molto significativo, mai evidenziato finora: il drappo ritorto, che corre lungo una sola spalla della Monna Lisa. Questo è un elemento coltissimo, che la tradizione figurativa rinascimentale desume consapevolmente da quella romana, come attributo di Venere Generatrice. Lo ritroviamo anche nel “Ritratto di donna” nota come “Laura” di Giorgione o nella “Schiavona” di Tiziano Vecellio, prova di una temperie culturale comune agli artisti del 500 cui anche Leonardo poteva riferirsi. L’umanesimo fiorentino, intriso, ab origine, di cultura neoplatonica, – e il quale dialogava in quegli anni con ‘il cosiddetto umanesimo veneziano’ – era incentrato proprio sulla dialettica tra bellezza carnale e bellezza ideale, tra Venere Generatrice e Venere ideale. Pertanto, questi elementi ‘vestimentari’ provano che Leonardo sia passato da un ritratto reale di una donna fiorentina del ‘500 a una figura simbolica, idealizzata.
In che modo la storia del costume è stata determinante in questo progetto?
E’ stato determinante per collocare il ritratto ricostruito da Pascal Cotte nei primissimi anni del 1500. Quando si conosce la storia del costume si ha la possibilità di avere dei riferimenti temporali estremamente precisi. Le tendenze non cambiavano a ritmi così rapidi come quelli a cui siamo abituati oggi, ma erano comunque soggette a evoluzioni anche sorprendentemente veloci per l’epoca. Una moda poteva cambiare anche nel corso di un quinquennio: il ritratto di Maddalena Strozzi di Raffaello datato al 1506, ad esempio, presenta già delle diversità rispetto alla Lisa Gherardini di Leonardo.
Hai un duplice percorso professionale: da una parte esperta di storia del costume, dall’altra Fashion Product Manager per marchi internazionali. Cosa ti ha portata a intraprendere questo duplice percorso e come hai saputo conciliare due strade apparentemente diverse?
Non sono due percorsi diversi, ma complementari. La mia duplice formazione mi è stata molto utile: per la mia attività di storica del costume il fatto di sapere come fosse costruito un abito, di prestare attenzione alle textures dei tessuti, mi ha dato una marcia in più rispetto a chi ha una formazione soltanto teorica. Inoltre avendo lavorato per anni nel mondo della moda a contatto con grandi stilisti, è stata sollecitata la mia memoria visiva: mi sono abituata ad esempio, a dover ricordare la nuance esatta di un colore senza averlo davanti agli occhi. Per questo ora la mia testa funziona come una sorta di pc: se vedo un dettaglio vestimentario in un’opera, quasi sempre riesco a trovare molto velocemente il precedente.
In che modo la storia del costume si lega alla moda di oggi?
Perché in ogni cosa che facciamo, ci sono i nostri luoghi, la nostra storia. L’arte, la storia, i paesaggi si traducono per esempio nella scelta dei colori delle collezioni di moda. Sarebbe interessante tracciare per ogni stilista un profilo in relazione alla sua provenienza e alla sua cultura. Ad esempio, talvolta, è possibile riconoscere le cromìe del tutto personali di un singolo stilista che sia tale (e non corra pedissequamente incontro ai trends…) al di là delle tendenze stagionali. Noi italiani, quando creiamo, abbiamo spesso negli occhi la grande arte, i nostri paesaggi… Quello che io cercherò di spiegare ai partecipanti ad out of fashion è che ognuno di loro è un unicum. Da cosa deriva quest’unicum? Dal fatto che ognuno di noi sia nato in un determinato luogo, ha negli occhi e nel cuore certe linee, certi colori che possiamo far diventare un ‘marchio proprio’, trasformare in un brand, in una filosofia. Questo è quello che fanno i grandi artisti: portano la propria cifra nel mondo, non si fanno cambiare ma cambiano il mondo.
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