di Paola Baronio
Nei giorni scorsi Giorgio Armani ha annunciato in un comunicato in accordo con la Fur Free Alliance la rinuncia all’utilizzo di pellicce animali in tutte le prossime collezioni del suo Gruppo. Una notizia che ha avuto un grandissimo riscontro nei media nonostante sia stata diffusa lo stesso giorno dell’attentato a Bruxelles. La svolta eco di Armani, elogiata subito dalla LAV (Lega Antivivisezione), ha generato l’hashtag #furfreearmani con migliaia di tweet che la celebrano come una scelta storica per la moda.
“Sono lieto di annunciare il concreto impegno del Gruppo Armani alla totale abolizione dell’uso di pellicce animali nelle proprie collezioni. Il progresso tecnologico raggiunto in questi anni ci permette di avere a disposizione valide alternative che rendono inutile il ricorso a pratiche crudeli nei confronti degli animali. Proseguendo il processo virtuoso intrapreso da tempo, la mia azienda compie quindi oggi un passo importante a testimonianza della particolare attenzione verso le delicate problematiche relative alla salvaguardia e al rispetto dell’ambiente e del mondo animale”. Giorgio Armani
La politica furfree di Giorgio Armani si aggiunge a quella già dichiarata da altri brand del lusso come la pioniera Stella McCartney, Hugo Boss, Calvin Klein, Tommy Hilfiger e a quelli del fast fashion come Zara e H&M. Al di là del suo contenuto, l’enorme consenso riscosso dalla notizia è l’ulteriore conferma di come la sostenibilità e i comportamenti rispettosi dell’ambiente siano aspetti valoriali per la reputazione del brand e di come la loro comunicazione porti alle aziende risultati assolutamente premianti. La moda sostenibile ha bisogno di comunicazione ma la sostenibilità rappresenta un asset formidabile per la comunicazione della moda.
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