Identità di genere nella moda sostenibile

Zerobarracento, collezione SS23

Da qualche anno a questa parte non si fa che parlare di Diversity & inclusion (D&I) tra impegni concreti di numerosi brand e comparti e molto pink e green washing. Ma come si rende un brand realmente inclusivo? Una campagna o una collezione gender fluid è davvero sufficiente?
di Martina Rogato

La Diversity & Inclusion rimanda innanzitutto al tema della non discriminazione delle persone per genere, orientamento sessuale, identità di genere, etc., sia rispetto alla popolazione aziendale (nella fase di assunzione, gestione e congedo) che agli stakeholder esterni come clienti e comunità locali. Si dovrebbe trattare quindi di un approccio olistico, ovvero adottato lungo tutta la catena del valore, dalle politiche di assunzione sino all’erogazione di prodotti o ai servizi (es. renting) messi in piedi da un brand. 

Il tema della non discriminazione, inoltre, si aggancia alla valorizzazione dell’unicità, come ingrediente basilare per la tutela del benessere a 360 gradi della persona ma anche come asset strategico per l’azienda stessa, non solo in termini di brand identity o capacità di attrazione di talenti, ma rispetto alle proprie performance di business. Le imprese che adottano un approccio concreto alla D&I, secondo Boston Consulting Group, hanno di fatto risultati sia positivi in termini di innovazione (+45%) che di profitto (Ebit +9%), per cui essere un’azienda diverse oggi è un must have di posizionamento di business.

Riguardo all’identità di genere, si tratta di impegnarsi concretamente all’aldilà di singoli slogan e manifesti. Tra le varie sfide ancora aperte sicuramente quella di prevedere non solo delle collezioni unisex o gender fluid una tantum, ma di ristrutturare in toto il proprio approccio al design per allinearsi sia con quel consumatore che finalmente ha preso coscienza della propria e altrui fluidità, e per cui vestirsi è un vero e proprio atto politico, sia per contribuire a costruire una società che anche tramite l’abbigliamento, possa valorizzare la bellezza della diversità.

Identità di genere nella moda sostenibile

Zerobarracento, collezione Ss 2023

Un semplice capo di fatto può racchiudere in sé anche una grande valenza simbolica: ovvero l’importanza di non rimanere catalogati e imprigionati in costrutti sociali intrisi di stereotipi che raccontano aspettative proprie e altrui sulla nostra vita. In un’ottica inclusiva dovrebbero quindi essere organizzati sia gli e-commerce che i negozi, che oggi per la maggior parte rimangono ancorati alla dicotomia uomo-donna e non contemplano null’altro oltre al binarismo.

Si tratta infine di poter garantire una scelta variegata compatibile con gusti e stile di tutti sdoganando le convenzioni sociali sulla tipologia di abbigliamento, ma anche dell’importanza di assicurare comfort e accessibilità dei capi in base ad ogni esigenza. Basti pensare al seno di un uomo trans FtM che ha scelto di non ricorrere, o non ricorrere ancora alla mastectomia.

Diversi i brand che hanno iniziato a fare dei primi passi i tal senso. Gucci ha lanciato da qualche anno il progetto gender fluid MX, per cui ha ad esempio rivisitato, sotto l’estro creativo di Alessandro Michele, l’iconica borsa Jackie. Dal 2020, Stella McCartney, ha inaugurato la sua linea unisex. Interessante anche l’approccio di Zerobarracento che definisce a priori le proprie collezioni per tutti i generi, le età e per ogni tempo. E numerosi sono oggi i brand del lusso ma anche del fast fashion che esplorano timidamente questo ambito.

A quando uno step in più per cui queste iniziative diventino la norma e non l’eccezione e soprattutto un approccio integrato? A quando una moda a difesa del diritto all’unicità?