L’Unione europea è sicuramente oggi il principale acceleratore di un approccio di business più consapevole e responsabile. Dopo anni di diffusione di buone pratiche e incoraggiamenti alle imprese su come creare impatto sociale e ambientale, infatti, Bruxelles ha optato per l’emanazione di un sistema di regolamenti e direttive volte a disciplinare l’accountability, la trasparenza, la comunicazione di sostenibilità e armonizzare maggiormente, grazie alla compliance, la sostenibilità delle aziende
Negli ultimi anni, una delle novità più dirompenti a livello normativo è stata la Direttiva Barnier del 2014 sull’obbligo di rendicontazione non finanziaria, recentemente sostituita dalla cosiddetta CSRD, ovvero dalla Corporate Sustainability Reporting Directive. Questo strumento normativo renderà la rendicontazione di sostenibilità obbligatoria per quasi 50 mila aziende operanti in UE, e introdurrà degli standard europei ad hoc per rendicontare. Ad oggi, in Italia, secondo Deloitte, solo il 3% delle aziende integra la sostenibilità nelle strategie di impresa. E solo 1 azienda su 10 produce un bilancio. La Direttiva dovrebbe incoraggiare un approccio più integrato degli aspetti ambientali, sociali e di governance nelle strategie aziendali rispetto ad un numero più ampio di aziende e l’utilizzo di indicatori quali-quantitativi, ad oggi, fondamentali per la rendicontazione di sostenibilità.
Rivoluzionaria anche la proposta di direttiva sulla Corporate Sustainability Due Diligence, che richiede (anche) alle aziende del settore tessile – considerato ad alto rischio ambientale e sociale – di identificare, prevenire e mitigare i propri impatti avversi (negativi) lungo le proprie catene del valore globale. Una novità legislativa che evidenzia il legame tra tutela dell’ambiente e diritti umani e che introduce anche la responsabilità civile per le aziende artefici di abusi e danni all’ecosistema.
Le aziende del comparto, che dovrebbero rientrare nell’obbligo di due diligence devono avere i requisiti di almeno 250 dipendenti e 40 milioni di fatturato medio annuo.
Secondo l’ultimo Report 2023 “Fashion Transparency Index” di Fashion Revolution, solo 250 dei più grandi marchi e rivenditori di moda del mondo stanno facendo progressi in materia di trasparenza. La due diligence europea, e l’estensione dell’obbligo di rendicontazione, quindi rappresentano una grande opportunità di aumentare l’impegno concreto dei brand del comparto, implementando l’utilizzo di metriche comparabili, l’accountability e la comunicazione verso gli stakeholder chiave.
Tra le novità provenienti da Bruxelles, pionieristica la proposta di Direttiva sui green claims (qui il testo completo, ndr), volta a contrastare il cosiddetto ambientalismo di facciata. Nello specifico, nei paesi europei a partire dal 2026, sarà obbligatorio fornire prove ed evidenze sulla fondatezza di tutte le affermazioni ambientali inserite all’interno di prodotti o servizi.
Tutto questo fermento normativo, così come altre più note novità legislative in ambito di eco-design e passaporto digitale, vanno a completare il quadro già delineato lo scorso marzo 2022 con la pubblicazione della strategia dell’UE per i prodotti tessili sostenibili e circolari. Entro il 2030, l’UE mira di fatto ad immettere nel mercato prodotti tessili durevoli, riparabili e riciclabili, favorendo l’uso di fibre riciclate, evitando l’utilizzo di sostanze pericolose, e producendo nel rispetto dei diritti sociali e dell’ambiente.
Sembra sempre più evidente che, anche per il comparto moda, quello della sostenibilità non è un trend di passaggio, ma il must have di ognuna delle prossime stagioni. E di questo, non possiamo che essere riconoscenti all’Europa.
Sustainability & Diversity Advisor, Founder di ESG Boutique, Martina Rogato è tra le docenti del Corso di Alta Formazione della moda sostenibile Out of Fashion. La sua lezione è al’interno del secondo modulo del corso 2023-24 ETICA E TRASPARENZA: UN VANTAGGIO COMPETITIVO in programma il 19 e 20 gennaio 2024.
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