Dal riciclo di stracci attivato da metà del 1800 in un contesto di povertà economica a una realtà industriale che fa di Prato il più grande centro tessile a livello europeo all’avanguardia nell’economia circolare. Ce lo racconta Chiara Pasini dall’osservatorio privilegiato del lanificio Nova Fides, nel cuore del distretto toscano
di Chiara Pasini
Il mio primo articolo per il Magazine di Out of Fashion aveva affrontato la moda sostenibile attraverso la mia esperienza con Feeling Nova, il brand di moda inclusiva che ho lanciato nel 2020. In questo mio contributo voglio trattare il tema della sostenibilità dal punto di vista ambientale e industriale ancora con una testimonianza personale: raccontarvi una realtà che piano piano sto scoprendo da vicino e che è all’avanguardia nella produzione della moda, il distretto di Prato.
Il mio percorso lavorativo mi ha portato proprio nel cuore del distretto, dove sto avendo la possibilità di osservare da vicino una delle realtà che scrive la storia della produzione tessile in modo etico, ogni giorno, il lanificio Nova Fides.
Un po’ di storia
Il distretto di Prato, il più grande centro tessile a livello europeo e uno dei poli più importanti a livello mondiale per le produzioni di filati e tessuti di lana, vede le sue origini nel XIII secolo, quando già si distingue per la produzione tessile, grazie alla presenza di attività economiche e condizioni naturali quali la ricca pastorizia e l’enorme disponibilità di acqua corrente.
Nella seconda metà dell’Ottocento, con l’avvento della rivoluzione industriale, si verifica il passaggio dalla manifattura artigianale ai sistemi di produzione industriale, con l’introduzione, dei primi filatoi, garzi, cimatrici e calandre meccaniche.
Il vero sviluppo del distretto pratese inizia nel ‘900 e soprattutto nel secondo dopoguerra, quando da pochi grandi lanifici ad alta integrazione verticale si crea un nuovo modello organizzativo e di produzione basato sull’estensione e l’aggiustamento della divisione locale del lavoro fra imprese specializzate, spesso piccole e piccolissime, in gran parte manifatturiere (e artigianali) ma dedite anche a funzioni di intermediazione, coordinamento e commercializzazione. Questo modello si consolida, produttivamente, socialmente, territorialmente e dal punto di vista istituzionale, negli anni ’60.
Tra il 1950 e il 1981, il numero degli addetti tessili triplica raggiungendo le 60.000 unità, mentre nel resto d’Europa, il settore registra una forte contrazione del numero di addetti e la chiusura di migliaia di attività produttive.
Gli anni ’80 e ’90 si verifica un rallentamento con una conseguente differenziazione nel sistema delle imprese tessili, ma vengono avviate anche le trasformazioni verso una produzioni di qualità che hanno poi portato il distretto di Prato ai primati attuali e all’attività di circa 7000 imprese.
Il distretto pratese e la sostenibilità
L’attività della zona si distingue per la produzione di lana riciclata, una filiera che ha inizio con la selezione manuale degli stracci da parte di operai addetti alla loro classificazione (i cosiddetti ‘cenciaoli’) in base al tipo di fibre e al colore e che prosegue con l’utilizzo di un’innovativa industria meccanica tessile per la sfilacciatura e la filatura cardata (filatura destinata alla lavorazione delle fibre che, per la loro limitata lunghezza o per la loro specificità, non possono subire l’operazione di pettinatura).
Il distretto tessile toscano ha storicamente basata la sua fortuna sulla sostenibilità e sull’economia circolare anche se l’attività di rigenerazione dei tessuti all’origine era dettata da necessità economiche e non dalla sostenibilità ambientale. Sui 5 miliardi di fatturato dell’intero distretto, ben 1,5 provengono dal settore del riciclo tessile.
Il tema della sostenibilità dei prodotti e dei processi della filiera tessile e abbigliamento è diventato fondamentale negli ultimi anni. Sempre più aziende del distretto si distinguono per una produzione responsabile di alta qualità dimostrata da certificazioni Oeko-Tex, GRS (Global Recycled Standard) e con la conformità al protocollo DETOX di Greenpeace, mirato all’eliminazione dai capi d’abbigliamento e dall’ambiente di tutte le sostanze inquinanti e tossiche per l’uomo, promuovendo un modello di produzione tessile sostenibile ed innovativo a livello nazionale ed internazionale.
Il nuovo studio della Ellen MacArthur Foundation, “A new textiles economy: Redesigning fashion’s future” descrive lo scenario futuro del settore tessile, con un focus sull’abbigliamento, sottolineandone gli impatti sociali, economici e ambientali. Viene evidenziato come ogni secondo un carico di tessuti equivalente a un camion dei rifiuti viene gettato in discarica o bruciato. Di questo passo entro il 2050 l’industria della moda consumerà un quarto del bilancio globale di combustibili fossili. Su quasi 100 milioni di tonnellate di tessili prodotti all’anno nel mondo, appena l’1% viene riciclato: 980mila tonnellate. Il 15% di queste si ricicla a Prato: 143 tonnellate nel 2018.
Nel distretto tessile di Prato si ricicla tutto, anche l’acqua, grazie al più ampio sistema di riciclaggio delle acque reflue in Europa. L’impianto di riciclaggio delle acque reflue preleva e tratta quelle inquinate che provengono dalle lavorazioni delle aziende pratesi: sono oltre 350 imprese che utilizzano acqua riciclata invece della potabile proveniente dalla falda idrica.
Ma come si crea un nuovo tessuto partendo da abiti usati?
A Prato gli scarti tessili di lana vengono riciclati per ottenere nuove fibre pronte per diventare nuovi tessuti, garantendo un upcycling attraverso la sfilacciatura a umido, processo fondamentale per valorizzare le vecchie fibre di lana da rigenerare.
Qualche anno fa questa lavorazione, utilizzata per meri motivi economici, non veniva dichiarata ma l’affermazione di fenomeni e tendenze come il vintage e il ricorso nella moda al second hand, ha portato a una valorizzazione di questi processi, a crescenti investimenti nel settore e alla promozione di brand di moda upcycling.
I passaggi fondamentali per arrivare a un tessuto di fibre rigenerate sono la cernita (ossia la selezione dei capi da riciclare, un lavoro svolto dai cenciaioli ); il lavaggio dello straccio dalle varie impurità; l’asciugatura; la stracciatura attraverso l’utilizzo di un macchinario con denti e lame che apre il tessuto riducendolo in brandelli e in fili; il carbonizzo, ossia una lavorazione che tramite l’utilizzo di acido cloridrico spruzzato sotto forma di vapore elimina tutte le parti a base cellulosica; la sfilacciatura, operazione complementare alla stracciatura che riduce ulteriormente i brandelli in pezzi ancora più piccoli e il filato in fibre; la tintura in fiocco, applicata principalmente a fibre naturali di origine vegetale; la filatura che comprende le lavorazioni di orditura, ritorcitura e imbozzimatura; la tessitura e infine la refinizione.
L’attività del distretto di Prato e delle sue aziende è fortemente focalizzata nella produzione di un tessile sostenibile e nella ricerca di soluzioni e processi sempre più performanti e innovativi.
Ad alimentare la potenzialità del settore c’è domanda di manodopera qualificata. Servono nuovi operatori in un contesto finora prevalentemente a occupazione maschile e che invece sta offrendo occasioni di lavoro e d’impiego anche alle donne.
Nel contempo è necessario che a questo sforzo produttivo sia affiancato l’“eco-design”, cioè una cultura del design che porti all’ideazione e alla creazione di un abbigliamento duraturo e riutilizzabile, realizzato con tessuti riciclabili, fibre separabili e attraverso un ridotto consumo energetico.
Insomma, è stato fatto tanto e tanto è ancora da fare, ma Prato è sulla buona strada.
Classe 1995, laureata in Fashion Design alla NABA di Milano con un Master in Fashion Trend Forecasting al POLIMODA di Firenze, Chiara Pasini durante la laurea triennale ha sviluppato un progetto personale chiamato Feeling Nova, un portale dedicato al benessere e alla rinascita delle donne operate di tumore al seno. Da qui è nata anche l’idea di realizzare una linea di intimo chiamata Wabi Sabi, con attenzione particolare alla struttura del reggiseno e alla scelta dei tessuti innovativi e sostenibili.
Attualmente lavora come Responsabile Comunicazione, Marketing e Ricerca Tendenze in Nova Fides, lanificio innovativo e all’avanguardia con sede a Prato.
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